Carloforte. Tradizioni e usi per le feste di Natale “a fantiña”, molto più di un dolce
NICOLO CAPRIATA
In una società geograficamente isolata e caratterizzata pertanto da marcate connotazioni comuni a tutti i membri della comunità, anche il ciclo delle feste religiose, al di là dei riti e delle pratiche generalmente comuni a tutti i fedeli cristiani, era contrassegnato da particolari usanze. Con l’approssimarsi delle feste natalizie intere famiglie imparentate tra di loro si accordavano per passare tutte le feste assieme (non solo il giorno di Natale). Prima che giungessero gli “ospiti” la padrona di casa lasciava nella sala da pranzo un piccolo mucchio di pattume per rappresentare simbolicamente abbondanza e provvidenza. Il Natale oltre a rappresentare gli aspetti propri della cristianità era anche un’occasione per rinsaldare lo spirito di appartenenza al gruppo familiare, un modo quasi inconscio per rinnovare affiatamento e compattezza tra zii, nipoti, cugini oltre che tra fratelli, sorelle, cognati, a tutta la famiglia allargata (non come la s’intende ora).
Per i più piccini (ma anche per i grandi) le mamme preparavano un dolce, cotto nel forno a legna costituito da un impasto di farina, tuorli di uova, zucchero e scorza di limone grattugiata a cui davano la forma di un pupazzo, “a fantiña”, cui si dava l’aspetto di un bambino, di una vecchietta, di un nonnino o di tante altre figure umane: le sembianze della “fantiña” erano lasciate all’estro e alla fantasia di chi le confezionava. La “fantiña” dopo la cottura veniva cosparsa di cappa una glassa ottenuta da un miscuglio a base di zucchero e di albume d’uovo. Era anche in uso una sorta di cantilena quando il bambino si svegliava la mattina di Natale: Pa messa de mezanötte/s’adesce u me piccin/u picche du pé inta chiña/ u dixe ch’a l’è a fantiña./ U picche du pé intu pionu/ u dixe ch’u l’è u baglionu. (Per la messa di mezzanotte/ si sveglia il mio bambino/batte con il piede la culla/e dice che è la fantiña/ batte il piede nel piano/ e dice che è il baglionu)
L’usanza della preparazione della fantiña riesce ancora a resistere alla “civiltà del supermercato”, per lo meno non è ancora del tutto scomparsa.
Al rintocco delle campane che annunciavano la mezzanotte e la nascita di Gesù, dopo i brindisi e gli auguri, quasi tutti si recavano in chiesa per la messa solenne lasciando la mensa ancora imbandita perché si diceva “i àngiuai ascì han da mangiò” (anche gli angeli devono mangiare). Inutile dire che quest’usanza si è completamente estinta da diverso tempo.
Nicolo Capriata (fonte Sulcis Iglesienet Oggi)
